sabato 27 aprile 2013




L’INCISIONE

Che cosa rappresenti per me questa forma di linguaggio, o questa pratica, che dir si voglia, non è cosa semplice da trattare. Un legame di vecchia data mi tiene come abbarbicato a questa tecnica. Da piccolo, la mia prima monografia è stata Rembrandt, i libri d’arte, sempre pochi, delle biblioteche, visionati a più riprese, surrogavano le mancanti visite a mostre e musei assenti, anche se la sede del mio Liceo era collocata all’interno dell’edificio del Museo stesso (Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria). Tutte questi e altri motivi costituiscono gli elementi essenziali per il mio viatico nel mondo dell’arte. La predilezione per il senso plastico, per i forti contrasti, per le luci e le ombre ben marcate, per il bianco e nero e, quindi, l’inchiostro di china, ha spianato, poi, la strada per entrare in quella raffinata e iniziatica coorte di facitori d’arte che è l’incisione. L’idea che il piacere unico nutrito, incidendo quasi il bianco del foglio, col pennino premuto fino a schiattare e che prosciugandosi consegnava quei segni neri decisi, vibrati con rapidi gesti e mossi da un senso o sentimento traboccante, potesse moltiplicarsi, mi rapiva. Occorreva passare all’elaborazione di una matrice. Poter incidere, finalmente, il metallo e affrontare tutte quelle diverse operazioni necessarie alla calcografia, per poi, dopo il loro susseguirsi faticoso, trepidare al primo passaggio della lastra nel giro dei cilindri, e poterne valutare il risultato ottenuto su carta, era diventato un mio bisogno primario. Non è facile! Inibire il gesto e il vigore di un segno. Occorreva, per quel gesto, armarsi d’infinita e paziente dolcezza, delegando all’acido il compito di scavare e ricavare il segno voluto stabilendone i tempi d’immersione, con un’immedesimazione quasi corporale con esso. Mi vengono in mente le lunghe notti passate a eseguire prove e tirature, a ripetere gesti dopo gesti, tra le mie povere cose, lontano dal mondo, lontano da tutto. Alla fine, saturo marcio d’inchiostro, di solventi e di fatica, qualche volta, compensato da un buon risultato, altre, invece, incazzato nero ma pronto, ugualmente, a rincorrere quella grazia illuminante, sfuggita dalle mani furtivamente. Che l’arte, quella vera, sia un’attività umana che non mira al profitto, e che non asseconda le mode, è risaputo. Essa ubbidisce e segue soltanto un suo ordine interno. L’incisione rappresenta la sua parte più intima e riservata.

26 Aprile 2013 - Mario Benedetto

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